Diritto di accesso agli atti e super Bonus
Tecnici e cittadini si trovano spesso, soprattutto in questo periodo di attivazione di pratiche per i super bonus, di fronte a ritardi da parte dei comuni nel fornire la documentazione urbanistica necessaria o comunque utile ai fini dell’ottenimento dei benefici fiscali.
Sicuramente i comuni versano in situazioni di emergenza causate, oltre che dal numero di richieste di accesso agli atti, anche dalle restrizioni derivanti dalla pandemia, ma questo non può essere un limite all’esercizio di un diritto: l’accesso agli atti.
Sta agli Enti, e non sempre lo hanno fatto in passato, organizzare gli archivi documentali sfruttando i sistemi di digitalizzazione e utilizzando meglio il personale dipendente.
La pandemia può avere determinato qualche problema organizzativo, non sempre giustificabile, ma l’accesso limitato e programmato agli uffici ne ha sicuramente limitato gli effetti.
Il diritto di accesso agli atti della pubblica amministrazione è un principio di civiltà sancito nel nostro ordinamento con la legge n. 241 del 7 agosto 1990 (modificata dalla legge 120/20) che ha voluto dare forza al principio della trasparenza (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi).
Gli atti di cui non è possibile ottenere l’accesso e quindi copia sono tassativamente indicati nell’art. 24 della legge; il successivo articolo 25 disciplina le modalità dell’esercizio del diritto indicando i termini entro cui l’amministrazione pubblica deve consentirlo.
Se non si rispettano le procedure e i termini si viola un diritto e si può attivare la procedura del processo amministrativo per vederlo riconosciuto.
Il Tar del Lazio con sentenza n. 2485 del 02/03/22 ha ribadito che l’eventuale diniego all’esercizio del diritto all’accesso richiede una risposta completa ed esaustiva e non è sufficiente una risposta dilatoria e non motivata per poter giustificare la mancata consegna di documenti che debbono essere presenti negli archivi comunali.
La vicenda da cui nasce la vertenza con il comune di Guidonia Montecelio ha origine dalla richiesta di accesso agli atti relativamente ad un contratto di appalto, richiesta non soddisfatta con motivazioni, da parte dell’Ente, dilatorie e con una giustificazione generica della mancata esibizione dei documenti.
Accogliendo il ricorso il Tar ritiene che una semplice comunicazione del segretario generale del comune, che affermi che “dopo varie ricerche, agli atti di questo Ufficio non risulta nessun contratto rogato” non dia conto di informazioni né certe, né univoche, circa l’irreperibilità del documento.
Precisa il Tar richiamando l’art. 22, comma 6 della legge 241/90, “che il diritto di accesso è esercitabile fino a quando la pubblica amministrazione ha l’obbligo di detenere i documenti amministrativi ai quali si chiede di accedere”.
E nel caso in cui i documenti richiesti fossero distrutti o smarriti quale risposta dovrebbe dare l’Ente per non commettere un illecito?
La sentenza sul punto è lapidaria: “se determinati documenti che sono legittimamente richiesti dal privato, non risultino esistenti negli archivi dell’Amministrazione che li dovrebbe detenere per ragioni di servizio, quest’ultima è tenuta a certificarlo, così da attestarne l’inesistenza e fornire adeguata certezza al richiedente per quanto necessario a consentirgli di determinarsi sulla base di un quadro giuridico e provvedimentale completo ed esaustivo”.
Non ci si può sottrarre all’obbligo di consentire il diritto di accesso agli atti con un mero diniego che si basi unicamente sulla dichiarazione di irreperibilità dei documenti oggetto della richiesta, senza l’indicazione delle modalità di conservazione degli atti invocati in visione, delle ragioni del loro smarrimento e delle ricerche in concreto compiute.
Sentenza interessante, non l’unica in verità, che riafferma il diritto alla trasparenza e definisce un rapporto Pubblica Amministrazione/cittadino in linea con i principi costituzionali e la legge 241/90.
Vincenzo Vecchio