La crisi della piccola proprietà
Le polemiche e gli scontri politici-ideologici che riempono le pagine dei giornali e i social media sugli affitti brevi banalizzano e semplificano una problematica complessa che coinvolge, ovviamente, il diritto della proprietà a utilizzare come ritiene la propria casa ma anche la necessità di salvaguardare i centri storici dallo spopolamento di abitanti “veri”, di difendere i negozi di vicinato, di offrire alloggi “possibili” agli studenti.
La prima analisi è che simili problematiche non riguardano solo l’Italia, ma sono comuni a tutte le grandi città Europee e, seppure con alcune particolarità, anche alle metropoli statunitensi.
Proprio lo sguardo sulle città americane ci fa comprendere come le varie comunità reagiscano in modo diverso alle difficoltà che ciclicamente colpiscono il mercato immobiliare.
Se San Francisco è tutt’ora immersa in una profondissima crisi post-covid (secondo l’Economist è stato raggiunto il tipping-point, il punto di non ritorno) con il centro svuotato di persone, gli uffici nei luccicanti grattacieli di cristallo vuoti e una funerea sequenza di negozi chiusi con il cartello “retail for lease” (si affitta).
New York ha dimostrato una grande resilienza avviando il più grande progetto (in America ma non solo dato gli enormi capitali che si stanno investendo) di riconversione di immobili adibiti ad ufficio in case di abitazione (office to housing conversion).
Cleveland, città che faceva parte degli agglomerati urbani della cosiddetta rust-belt, la cintura della ruggine, perchè soggetta da decenni a declino economico,spopolamento e degrado urbano dovuti al decadimento dell’industria pesante, sta facendo rinascere il proprio centro come luogo dedicato al divertimento,alla cultura e alle collegate attività economiche.
Tornando in Europa ricordiamo che il Portogallo, non più tardi di quattro mesi fa, ha varato un grande piano per contrastare il caro affitti ( + 37% a Lisbona in un anno) prevedendo incentivi fiscali per chi affitta per lunghi periodi, la possibilità per lo stato di prendere direttamente in locazione gli immobili vuoti per rimetterli sul mercato a canoni calmierati e, prima di tutto, abolire i cosiddetti “visti d’oro”, i permessi di soggiorno, validi per l’intera Unione Europea, a chi acquista proprietà immobiliari per valori superiori ai 500.000 dollari.
Misura che ha attirato grandi gruppi immobiliari, con capitali in prevalenza russi, cinesi ed arabi, ad acquistare complessi immobiliari nei centri cittadini proprio al fine di destinarli al mercato degli affitti brevi. In Italia, pur non essendo applicabile il “golden visa” al settore immobiliare, alcuni dei più grandi progetti con fondi esteri sono legati al mattone (per esempio il centro commerciale Westfield a Milano finanziato dal grande gruppo Australiano).
E questo diventa l’aspetto foriero di maggiore preoccupazione: il rischio (che forse è già realtà) che il settore degli affitti brevi diventi la preda dei grandi gruppi economici e finanziari o comunque dei grandi proprietari immobiliari, cancellando, almeno nei centri storici, la proprietà diffusa e la piccola proprietà immobiliare.
Siamo sicuri di volere correre il rischio di avere un mercato immobiliare guidato da un “cartello” di grandi gruppi finanziari che agiscono in regime di quasi monopolio?
Siamo sicuri di volere annientare quel grande patrimonio economico e morale che è la proprietà immobiliare diffusa e aperta ai cittadini di tutte le classi sociali, traguardo raggiunto nel dopoguerra grazie all’intraprendenza e al sacrificio dei nostri padri che hanno riversato i loro risparmi nella casa, vista come il bene rifugio, quello più importante da lasciare in dote alle nuove generazioni?
Siamo sicuri di volere nullificare l’art. 47 della Costituzione che “ favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione”? Sono domande che riguardano tutti e che dovrebbero far riflettere sulla necessità di gestire una grande trasformazione nell’interesse di tanti e non di pochi.
La Piccola Proprietà Immobiliare, che APPC orgogliosamente rappresenta, ritiene che sia auspicabile e necessaria una collaborazione fattiva tra le istituzioni e i proprietari, e che da un lato si evitino provvedimenti brutalmente impositivi da parte dei sindaci, di dubbia legittimità, ma che dall’altro non ci si possa mascherare dietro l’assunto “faccio quello che voglio di questo immobile”, soprattutto se chi lo dice non è un piccolo proprietario ma un grande speculatore internazionale.
Mario Fiamigi segretario nazionale APPC